Il sake viene prodotto partendo da un tipo di riso chiamato Sakamai, che si distingue per via dei chicchi più grandi rispetto al riso tradizionale, capaci di resistere al processo di raffinatura a cui sono sottoposti.
Ci sono anche altre tipologie di riso da sake: lo Yamadanishiki, lo Gohyakumangoku, il Miyamanishiki e decine di specie che variano a seconda del clima, dell’acqua e del tipo di terreno, conferendo caratteristiche minerali diverse a questa bevanda.
Produzione del sake
All’inizio della produzione i chicchi vengono levigati a mano per rimuovere gli strati esterni, riducendone così il volume iniziale del 50/70% circa.
Rimane così il “cuore” del riso, caratterizzato per lo più da amido.
Il composto iniziale viene mescolato ad acqua, impastato a mano e lasciato riposare per due giorni.
Questa miscela viene chiamata Moromi.
Verranno poi aggiunti altra acqua e riso in modo che inizi il processo di fermentazione, che durerà quattro settimane.
Il sake viene pastorizzato (eliminando eventuali cariche microbiche portandolo ad alta temperatura), filtrato e poi imbottigliato.
Da questo processo, deriva una gradazione alcolica che oscilla tra i 15 ed i 17 gradi, un valore piuttosto adatto per una bevanda che si presta ad accompagnare il pasto con il giusto livello di intensità e che può essere abbinata a carni, pesci, verdure, uova e più generalmente a fine pasto come digestivo.
In ogni caso i sake migliori sono invecchiati anche per decenni, in botti di legno di cedro, acquisendo sentori di miele grazie agli zuccheri presenti nel legno e di terziarizzazione.
La classificazione qualitativa del sake è piuttosto difficile e si basa sul grado di raffinazione del riso, prevedendo ben 9 tipologie, a cui vanno aggiunti anche le varie diciture sul metodo produttivo e di invecchiamento.
Il sake: questione di purezza
Al contrario del vino, il sake non contiene conservanti e, nel caso dei sake di qualità, nemmeno altri additivi.
La sua purezza è data dal grado di raffinazione, seimaibuai, espresso attraverso la percentuale del chicco che viene utilizzata. Se il seimaibuai è almeno il 70% del peso totale del chicco e si è seguito un particolare disciplinare di produzione, al sake può essere attribuita una denominazione di qualità.
Il sake con queste caratteristiche di purezza ha aromi delicati ed eleganti.
Un altro elemento importante è l’acqua: più nota è quella ricca di fosforo e potassio, con una piccola quantità di magnesio e calcio, della sorgente Miyamizu vicino a Kobe.
Come per il vino, anche per il sake esistono dei rituali di degustazione per scoprire bouquet nascosti.
Troviamo ad esempio aromi fruttati (mela, pera e frutti tropicali in prevalenza) in sakè dal livello di raffinatura molto alto e realizzati con specifici metodi di fermentazione a temperature medio-basse. In questo caso, però, è il lievito a farla da padrone regalando note dolci e corpose.
E tu quale tipo di sake scegli?